sabato 24 maggio 2014

L’espressione pittorica di Arturo Alessandri.

Ancora un incontro con un genius loci. Figlio della cultura del proprio tempo, Arturo Alessandri, ferrarese trapiantato a Monteroni, si muove con leggerezza nei meandri della mente e trasforma idee e percezioni in creature che si rappresentano  come essenza di tensione all’interno della cornice pittorica.
Il forte cromatismo, che in maniera fluida si estende sulla tela, mantiene intatta la propria dignità artistica e mai altera i contorni o la stessa tonalità.
Scrittura artistica convulsa e frenetica, si identifica con lo spazio-tempo e lo spazio-ambiente, diventando struttura e mediazione che immagino lunga e ponderata, per poi esplodere come esercizio turbolento e spasmodico in una apparente immediatezza.
Il tratto ne evoca lo spessore psicologico e si configura nella netta distribuzione temporale come percorso di crescita percettiva.
La commistione di soggetti diversi è sintetica di questa convergenza ed illumina la configurazione dall’interno.
Quella di Arturo Alessandri è una scrittura polisemantica e polisistemica che indugia in una sorta di rispettoso ossequio delle intenzioni che non sono nascoste dietro fumi di metafore o di altro da se, ma si mescolano senza confondersi, si allineano in una composta caoticità che è sintomatica del momento storico contemporaneo.
Tutto è parte funzionale alla realizzazione dell’opera e riprende ideali che fanno convergere ricerca di bellezza e razionalità, delle quali egli intende soprattutto la parte celata dietro il paravento di una negazione.
Nella registrazione cerebrale del fatto esterno si percepisce un tentativo deciso di uniformarlo alla propria percezione, della quale l’artista diventa strumento e veicolo, pur quando la rappresentazione scenica rimanda ad un trasformismo misterioso che infonde il quid dell’inatteso ed esplode in una visione che irrompe divenendo proiezione inquieta.
Nella complessità i personaggi-soggetto si incastrano in un’unica realtà visionaria nella quale l’artista si immedesima lasciando trasparire un distacco calcolato, mai completamente sopraffatto dal movimento convulso dell’intera costruzione emozionale.
Egli agisce con la forza dell’immaginazione che gli permette di creare una totalizzante turbolenza di significati nella simbologia che muove da una concordanza di elementi diversi seppur uniti dall’assenza di logicità sequenziale.
Dalla mancanza di una prospettiva il dubbio e la sospensione visiva rendono essenziale l’enigma che investe l’opera in quanto rappresentazione di un’ansia sottile di vivere e in essa si condensa a tinte violente quel percorso artistico che soprattutto con William Blake raggiunse l’acme di espressione.
L’obliquità sensazionale, esplosiva ed imperiosa è elemento totalizzante e centralizzante nella koinè di elementi costitutivi, ognuno dotato ed intensificato nella collocazione scenica predisposta dall’artista, il quale utilizza il materiale strutturale ed umano per creare una corrispondenza tra l’intenzione ed il fatto espresso.
Rabbia, convulsione, negazione e fissità si rappresentano come elementi che veicolano sentimenti di ossessione, come se la stessa realtà percepita e tramata nella mente rimandasse immagini sconvolgenti pur nel momento di configurazione di ordinaria quotidianità, vista come composizione di colori che non rimandano tuttavia serenità, ma sono il risultato di una congerie di circostanze e riflessioni che inducono a considerare nella prospettiva frontale l’insieme di momenti vissuti con medesima intensità.
Sono fatti di vita riconoscibili, pur nella sensazione vibrante di piccole finestre aperte sulla propria dimensione individuale.

“Salentopocket” 25/03/2010.
                                                                          Carmen De Stasio.