L’espressione pittorica di Arturo Alessandri.
Ancora
un incontro con un genius loci. Figlio della cultura del proprio tempo, Arturo
Alessandri, ferrarese trapiantato a Monteroni, si muove con leggerezza nei
meandri della mente e trasforma idee e percezioni in creature che si
rappresentano come essenza di tensione
all’interno della cornice pittorica.
Il
forte cromatismo, che in maniera fluida si estende sulla tela, mantiene intatta
la propria dignità artistica e mai altera i contorni o la stessa tonalità.
Scrittura
artistica convulsa e frenetica, si identifica con lo spazio-tempo e lo
spazio-ambiente, diventando struttura e mediazione che immagino lunga e
ponderata, per poi esplodere come esercizio turbolento e spasmodico in una
apparente immediatezza.
Il
tratto ne evoca lo spessore psicologico e si configura nella netta
distribuzione temporale come percorso di crescita percettiva.
La
commistione di soggetti diversi è sintetica di questa convergenza ed illumina
la configurazione dall’interno.
Quella
di Arturo Alessandri è una scrittura polisemantica e polisistemica che indugia
in una sorta di rispettoso ossequio delle intenzioni che non sono nascoste
dietro fumi di metafore o di altro da se, ma si mescolano senza confondersi, si
allineano in una composta caoticità che è sintomatica del momento storico
contemporaneo.
Tutto
è parte funzionale alla realizzazione dell’opera e riprende ideali che fanno
convergere ricerca di bellezza e razionalità, delle quali egli intende
soprattutto la parte celata dietro il paravento di una negazione.
Nella
registrazione cerebrale del fatto esterno si percepisce un tentativo deciso di
uniformarlo alla propria percezione, della quale l’artista diventa strumento e
veicolo, pur quando la rappresentazione scenica rimanda ad un trasformismo
misterioso che infonde il quid dell’inatteso ed esplode in una visione che
irrompe divenendo proiezione inquieta.
Nella
complessità i personaggi-soggetto si incastrano in un’unica realtà visionaria
nella quale l’artista si immedesima lasciando trasparire un distacco calcolato,
mai completamente sopraffatto dal movimento convulso dell’intera costruzione
emozionale.
Egli
agisce con la forza dell’immaginazione che gli permette di creare una
totalizzante turbolenza di significati nella simbologia che muove da una
concordanza di elementi diversi seppur uniti dall’assenza di logicità
sequenziale.
Dalla
mancanza di una prospettiva il dubbio e la sospensione visiva rendono
essenziale l’enigma che investe l’opera in quanto rappresentazione di un’ansia
sottile di vivere e in essa si condensa a tinte violente quel percorso
artistico che soprattutto con William Blake raggiunse l’acme di espressione.
L’obliquità
sensazionale, esplosiva ed imperiosa è elemento totalizzante e centralizzante
nella koinè di elementi costitutivi, ognuno dotato ed intensificato nella
collocazione scenica predisposta dall’artista, il quale utilizza il materiale
strutturale ed umano per creare una corrispondenza tra l’intenzione ed il fatto
espresso.
Rabbia,
convulsione, negazione e fissità si rappresentano come elementi che veicolano
sentimenti di ossessione, come se la stessa realtà percepita e tramata nella
mente rimandasse immagini sconvolgenti pur nel momento di configurazione di
ordinaria quotidianità, vista come composizione di colori che non rimandano
tuttavia serenità, ma sono il risultato di una congerie di circostanze e
riflessioni che inducono a considerare nella prospettiva frontale l’insieme di
momenti vissuti con medesima intensità.
Sono
fatti di vita riconoscibili, pur nella sensazione vibrante di piccole finestre
aperte sulla propria dimensione individuale.
“Salentopocket”
25/03/2010.
Carmen De Stasio.